Menhir di Predas Fittas
La zona conosciuta da tempo nella letteratura archeologica come località Predas Fittas è caratterizzata dalla presenza di alcuni menhir. I monumenti vengono citati per la prima volta in un documento del 1473, relativo alla spartizione tra i comuni di Ovodda e Gavoi dei territori allora facenti capo all’insediamento di Oleri, oggi scomparso e di cui rimane a testimonianza la chiesa campestre di San Pietro.
Successivamente i menhir vengono menzionati da Vittorio Angius, da Alberto della Marmora nel suo Viaggio in Sardegna, nonché da Antonio Taramelli.
Giovanni Lilliu restituisce una esauriente descrizione dell’area, individuando 8 menhir, in parte eretti, in parte spezzati e riversi al suolo, altri invece riutilizzati in un vicino insediamento databile ad età romana. Attualmente risultano in piedi solamente due menhir.
Nell’area più estesa vi sono attestazioni di frequentazione umana databili al Neolitico Recente-Finale (Cultura di Ozieri, fine V – IV mill. a.C.), all’età del Bronzo recente e al periodo romano. L’intensa frequentazione dell’area, in corrispondenza della valle del fiume Aratu, è da ascrivere alla vicinanza al corso d’acqua e alla conseguente disponibilità di terreno favorevole all’insediamento umano.
Sempre Lilliu nell’opera La civiltà dei Sardi sottolinea come spesso i menhir o predas fittas, fossero eretti lungo il tracciato di vecchie vie, alcune percorse durante le transumanze del bestiame, o alla confluenza di più strade.
«È plausibile che i menhir fossero stati pensati e realizzati oltre che nella funzione locale di simulacri del culto… anche come punto di riferimento, segnali o luoghi di pausa per i viandanti…»
Testo a cura della dott.ssa Laura Melis con la collaborazione della dott.ssa Elisa Soru