Murales
La storia del muralismo di Orgosolo comincia alla fine degli anni Sessanta del Novecento e la sua fama si lega soprattutto al nome e all’opera di Francesco Del Casino, un professore di storia dell’arte originario di Siena che, dalla primavera del 1975, si rivelò un interprete genuino e sensibile del mondo agropastorale sardo. Autore di numerosi lavori, realizzati in autonomia, ma anche con la partecipazione degli studenti della scuola media, dei membri della comunità locale, di collaboratori e colleghi, l’artista ha sempre impostato i suoi interventi come atti di spiccato carattere ideologico, di protesta contro l’azione repressiva dello Stato e di resistenza popolare contro la soppressione o la limitazione dei diritti da parte dell’autorità superiore.
Il murale sulla facciata principale del vecchio Municipio, dal titolo Concimi, non proiettili, venne realizzato nel 1984 dal solo Del Casino, che lo dipinse su un precedente affresco del 1976, dal tema analogo, andato distrutto in seguito alla ristrutturazione del Palazzo del Comune.
L’opera si riferisce a uno degli episodi più importanti della storia del paese e dell’intera Sardegna, ovvero ai “moti di Pratobello” del luglio 1969, quando la popolazione locale, il sindaco e gli amministratori, mettendo in atto una forma di protesta non violenta e di resistenza passiva durata tre intere giornate, si ribellarono all’imposizione dello Stato italiano che voleva impiantare delle basi militari sui 13.000 ettari di terreno dell’altopiano, luogo che gli allevatori avevano tradizionalmente utilizzato per il pascolo del bestiame. In quell’occasione, anche il partigiano e scrittore Emilio Lussu, che a suo tempo aveva combattuto contro ogni forma di schiavitù e ingiustizia, manifestò la sua convinta vicinanza alla causa della comunità orgolese.
Il murale, che ingloba al suo interno alcune delle aperture dell’edificio (la porta di ingresso, due finestre del piano terra con grata, una portafinestra con balcone al primo piano da cui si affaccia la sagoma di un uomo che regge sopra la testa un eloquente cartello che scandisce il titolo del lavoro), si articola in tre quadri principali, distinti ma comunicanti, idealmente leggibili da sinistra verso destra; lo stile cubista, adottato dall’autore, esprime al meglio il clima di accesa passione civile e politica che caratterizzò l’evento.
La prima scena, dipinta con toni cupi, fa riferimento al passato di morte e distruzione rappresentato dalla guerra, con le trincee e i fanti armati sullo sfondo e il soldato morente in primo piano: questi, riverso a terra con in mano un foglio inneggiante la pace e una più saggia destinazione delle terre, è come sostenuto dalla forza e dalla fierezza della citazione delle parole di Lussu risalenti al 24 maggio 1922, trascritte in corsivo come un monito per il futuro. Al centro, separato da una quinta naturale fatta di cactus e piante di fico d’india che si contrappone all’artificialità del filo spinato, un fitto corteo multicolore di uomini e donne di ogni età sfila con cavalli, bandiere e striscioni, circondato dalla riproduzione dei veri manifesti che vennero stampati all’epoca e che inneggiavano a una Rinascita dell’Isola priva di ogni compromissione militare e bellica. Infine, sulla destra, stavolta dipinto in un monocromo rosso che allude a una chiara appartenenza politica, un altro gruppo di manifestanti appare in comunione ideale con il grande ritratto di Lussu e con le parole tratte dal telegramma che l’intellettuale inviò loro per l’occasione, e il cui testo viene riportato per intero: parole di solidarietà e di speranza, nella convinzione di come l’unico destino possibile, ben diverso da una distopia in cui i pastori e le loro famiglie vengono trattati alla stregua di criminali, fosse quello di una convivenza pacifica e virtuosa tra gli esseri umani e l’ambiente naturale.
Tra i numerosissimi murales che istoriano le vie di Orgosolo – ne sono stati già contati almeno 400 – un altro famosissimo esempio a firma di Del Casino (e forse il più conosciuto tra quelli eseguiti dall’artista senese nella sua attività nel centro barbaricino) si trova, sempre in Corso Repubblica, in corrispondenza dello storico negozio al civico N. 274. Risalente al 1984, Caccia grossa a Orgosolo rievoca un fatto di cronaca realmente accaduto tra il 9 e il 10 luglio del 1899 e passato alla storia come “la battaglia di Murguliai”, dal nome dialettale della località Morgogliai, situata a 30 chilometri dall’abitato, in una zona di confine tra il territorio del paese e quello di Oliena.
In quei giorni drammatici si verificò un violentissimo conflitto a fuoco tra forze dell’ordine (quasi duecento tra carabinieri e fanti) e fuorilegge, che culminò, da una parte, con il ferimento del vicebrigadiere Lorenzo Gasco e con la morte del soldato Giuseppe Amato e del carabiniere Aventino Moretti (già protagonista della cattura e dell’uccisione del famigerato Giovanni Battista Salis detto “Crobeddu, il Nestore della macchia isolana”) e, dall’altra, con l’uccisione di cinque dei quattro feroci banditi che per anni avevano dominato nella zona: i fratelli Elia e Giacomo Serra-Sanna, Tommaso Virdis e Salvatore Giovanni Pau, tutti ricercati e con taglie pendenti di 30.500 lire; l’unico a salvarsi fu Giuseppe Lovicu, catturato e ucciso due anni dopo.
Per testimoniare il successo della retata, che si inseriva sullo sfondo della durissima lotta e repressione della criminalità da parte dello Stato italiano voluta dal governo Pelloux – la “caccia grossa” da cui prende il titolo l’omonimo libro pubblicato l’anno dopo dal tenente di fanteria Guido Bechi, che partecipò alle operazioni nell’Isola – alcuni carabinieri e soldati posarono di fronte all’obiettivo fotografico come cacciatori vittoriosi sulla preda, e dunque esibendo i corpi degli uccisi alla stregua di trofei.
Le foto furono oggetto di una fama ambigua e sinistra, ma il loro macabro contenuto risulta tuttavia in linea con la cultura e la sensibilità del tempo, specchio delle contraddizioni dell’epoca. Esse sono il controverso riferimento iconografico da cui è partito il pittore per realizzare l’affresco: lo stile cubista, qui adottato, restituisce in questo caso sia la drammaticità dell’evento e la complessità del fenomeno del banditismo – la cui stratificata interpretazione è ancora oggi al centro del dibattito culturale sardo – sia la necessità di riconoscere sempre dignità e valore all’esistenza di qualsiasi essere umano, mai e poi mai assimilabile a una bestia da sottomettere o a un oggetto da possedere e di cui disporre a piacimento.
Testo a cura della dott.ssa Cecilia Mariani