Basilica della SS. Vergine dei Martiri
Il complesso architettonico dei Frati Minori Osservanti, tra i monumenti sacri di maggiore importanza per il paese di Fonni e l’intera Sardegna nonché uno degli ambienti più coerenti di stile tardo barocco-rococò dell’Isola, risale all’inizio del XVII secolo. Esso comprende la Basilica della Santissima Vergine, il Convento dei Francescani e l’Oratorio di San Michele: tutti gli edifici si affacciano su un ampio piazzale delimitato da cumbessias, destinate a ospitare i pellegrini novenanti in occasione della festa. Sulla destra della chiesa si erge l’originario campanile, che venne innalzato di alcuni metri nel 1924-25. Secondo lo stile francescano, tutte le facciate sono molto semplici e sopra l’arco in trachite del portone di ingresso della basilica, è presente lo stemma gentilizio della famiglia del fonnese don Giovanni Stefano Melis che nel 1610 donò a padre Giorgio d’Acillara il sito per l’edificazione.
Gli edifici del convento e del tempio, originariamente dedicato alla Santissima Trinità, vennero terminati intorno al 1632-33. A quella data la chiesa aveva una pianta a navata unica con tre cappelle per parte; quelle attualmente esistenti presentano la seguente intitolazione: a destra si trovano quelle in onore di Sant’Antonio e del Sacro Cuore, a sinistra quelle dell’Immacolata Concezione, dell’Agonia e del Crocifisso (quest’ultima ospita ancora oggi un crocifisso in legno di fico, opera di uno scultore ignoto del XVI secolo, che venne portato a Fonni nel 1724); il presbiterio era invece intitolato alla Santissima Trinità.
Durante il XVIII secolo il complesso venne arricchito con la costruzione delle cumbessias e dell’oratorio di San Michele e la chiesa stessa subì un ampliamento. Ispirandosi al Pantheon di Roma, il padre guardiano Pacifico Guiso Pirella da Nuoro (1675-1735), la cui sepoltura si trova attualmente all’interno della chiesa, avviò la costruzione di una nuova ala dell’edificio di culto, alla quale fu dato il nome di Sancta Maria ad Martyres. La prima pietra venne collocata il 17 settembre 1702 e il nuovo organismo, innestato su quello della Santissima Trinità dopo la demolizione della cappella del Rosario, venne terminato nell’ottobre del 1706. Il progetto, comprendente la chiesa superiore e un santuario sotterraneo, venne realizzato dall’architetto e capomastro milanese Giuseppe Quallio e da due suoi conterranei, Giovanni Battista Corbellino e Ambrogio Mutoni, entrambi decoratori.
La cappella-basilica risulta costituita da una navata centrale coperta con volta a botte sulla quale si affacciano due cappelle semicircolari dedicate a santa Rosa da Viterbo e san Salvatore da Horta, ospitanti i rispettivi altari e simulacri. Il presbiterio, rialzato, ospita invece l’altare maggiore dedicato alla Vergine Regina dei Martiri, con la statua miracolosa della Madonna portata in Sardegna dallo stesso Padre Pacifico: i volti della Vergine e del Bambino, come anche le mani e i piedi, furono modellati da un ignoto artista romano con ossa di martiri polverizzate. Nel punto di incrocio con le cappelle, su un alto tamburo con finestre, poggia una cupola ottagonale.
L’ambiente sotterraneo, costituito da un vestibolo e da un santuario – entrambi di pianta rettangolare, con volta a botte, e originariamente separati da un’inferriata – è dedicato a sant’Efisio e a san Gregorio Magno, considerati i Padri della fede dei Barbaricini. Nel primo vano, cinque nicchie per lato ospitano dieci pozzetti, che rappresentano le virtù della Madonna dei Martiri, questi vennero coperti nel 1969. Nel secondo ambiente sono invece presenti numerosi altari e simulacri in stucco policromo. Da Pietro Antonio Are sono state eseguite le tempere della volta, e sempre al suo operato e a quello di suo figlio Gregorio, si devono anche le decorazioni delle già citate cappelle della chiesa sovrastante.
La piccola cappella detta Oratorio di San Michele, restaurata esternamente nel 1992-93 su progetto comunale, venne costruita di fianco alle cumbessias del ramo destro nel 1708-1710 su modelli architettonici lombardi. Sulla cupola del sacello si può ancora ammirare il dipinto a tempera di Gregorio Are raffigurante la Cacciata degli angeli prevaricatori dal Paradiso, mentre alcuni testi tratti dai canti d’Isaia che completavano l’opera sono oggi scomparsi sotto numerosi intonaci.
A partire dal 1866, con la soppressione degli ordini religiosi, il convento divenne sede di Caserma, della Pretura e del Comune, e venne riconsegnato all’ordine Minoritico nel 1960; al momento i locali non sono utilizzati e l’edificio non è aperto al pubblico. Attualmente non sono più presenti nemmeno i due grandi portoni in legno di quercia che ne chiudevano l’ingresso e quello della basilica, mentre l’assetto del piazzale antistante è il risultato di una sistemazione avvenuta nel 1982, che ha comportato una nuova pavimentazione in sanpietrini di porfido, un ampliamento della gradinata e la creazione di due grandi aiuole e tre rotonde per gli alberi; l’illuminazione risale invece al 1990-91 e comprende cinque riflettori per la facciata e dieci lampioni in ghisa per l’intero slargo.
La Basilica della Santissima Vergine dei Martiri è visitabile tutto l’anno; fanno eccezione i locali della cripta e dell’Oratorio di San Michele, che è possibile ammirare solo in particolari occasioni (tra cui la manifestazione annuale “Autunno in Barbagia”).
Testo a cura della dott.ssa Cecilia Mariani con il contributo della dott.ssa Anna Maria Cuguru